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Morì per fumo passivo, risarciti gli eredi


Sentenza del tribunale: il Ministero dell'Istruzione condannato a pagare 400 mila euro perché non garantì la salute della lavoratrice



ROMA - Per anni era stata costretta a subire il fumo passivo delle sigarette dei suoi colleghi. Ammalatasi di tumore, Maria Sposetti aveva iniziato un calvario tra cure e ospedali che le aveva distrutto l'esistenza. Il tribunale di Roma ha deciso ora che i suoi eredi (la donna è morta qualche anno fa, in un incidente stradale) dovranno essere indennizzati. E il Ministero dell'Istruzione, di cui era dipendente dal maggio 1980, è stato condannato a pagare una cifra di poco inferiore ai 400 mila euro.
La sentenza del giudice Giuseppina Vetritto è ora considerata una vittoria esemplare dal Codacons, il coordinamento delle associazioni dei consumatori, che guarda con fiducia al precedente venutosi a creare che «apre adesso la strada a migliaia di cause simili».



Per ricostruire la vicenda bisogna fare un passo indietro nel tempo e andare al 25 settembre 1992, quando alla signora Sposetti viene diagnosticato un tumore al polmone che rese necessario un «delicato ed invasivo» intervento chirurgico a cui fecero seguito diversi e pesanti cicli di chemioterapia. Il tumore portò con sè una serie di patologie correlate, tra cui una bronchite asmatica cronica e un enfisema polmonare, oltre ad un grave stato di depressione». Una vita distrutta, insomma.
Dagli esami istologici della massa tumorale - spiegano i legali del Codacons - è risultato che il tumore fosse direttamente riconducibile all'esposizione a fumo passivo. La donna, che non ha mai fumato in vita sua e che non aveva fumatori tra i famigliari più stretti, «è stata suo malgrado esposta per ben sette anni ad inquinamento da fumo passivo in ufficio, lavorando in una stanza angusta, sprovvista di impianto di aerazione e con tre colleghe accanite fumatrici».



Nel 2002 i famigliari della donna, assistiti dagli avvocati del Codacons, hanno chiesto al Tribunale civile di Roma di accertare la violazione da parte del datore di lavoro delle norme in materia di sicurezza che ponevano a carico del ministero l'obbligo di tutelare la salute della sua dipendente durante gli orari di servizio. Di lì la richiesta di risarcimento. Il giudice ha accolto oggi l'istanza e condannato il dicastero di viale Trastevere al maxi-risarcimento: 395.725 euro di indennizzo complessivo (danno biologico e danno morale) e 3.500 euro per le spese legali.



Le cause di risarcimento per i danni dovuti al fumo sono ormai una costante negli Stati Uniti e in molti altri Paesi. Ma nel maggio 2001 aveva fatto scalpore l'indennizzo di circa 250 mila euro concesso ad una donna australiana ammalatasi di tumore alla laringe. Erano altri tempi, le azioni legali per danni provocati dal fumo erano agli albori e non è forse un caso che quella cifra fosse molto al di sotto di quella stabilita oggi dal tribunale di Roma. In Italia però qualcosa si sarebbe mosso di lì a poco: meno di un anno più tardi, nel febbraio del 2002, il tribunale di Milano aveva infatti pronunciato la prima condanna per omicidio colposo nei confronti di due dirigenti di una banca dove lavorava una donna morta per crisi respiratoria imputata proprio al fumo passivo.



Recente invece il caso di un risarcimento concesso ai famigliari di un fumatore attivo perché non sarebbe stato messo al corrente dei rischi che correva consumando sigarette: una sentenza, quella emessa lo scorso marzo a Roma, che è costata all'ente tabacchi il pagamento di 200 mila euro agli eredi del fumatore deceduto.



10/05/2005

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